Nisida

Nisida

venerdì 19 novembre 2004

IL GOMITOLO DELLA VITA


La bambina sedeva sul letto nella sua stanza e leggeva.


Tra le sue mani un libro affascinante, Ventimila leghe sotto i mari.


Ogni tanto si fermava e immaginava gli scenari descritti da Verne, il sottomarino, il Capitano Nemo e la sua musica. Già… la musica.


Accanto a lei seduto alla piccola scrivania c’era il nonno, che scriveva le note di una canzone, come tante virgole sul pentagramma.


Spesso passavano i pomeriggi assieme, si facevano compagnia. E spesso il nonno le raccontava delle storie che inventava al momento, storie di fate e folletti, interpretazioni di antiche leggende.


Ma l’ultimo racconto che le aveva fatto il nonno l’aveva lasciata molto pensierosa e ancora la distraeva dal libro.


Era una storia che le aveva raccontato a seguito delle sue lamentele.


La bimba aveva voglia di crescere, voleva vedere come sarebbe stata da grande, voleva sapere se i suoi desideri si sarebbero realizzati e quest’ansia le angustiava il presente. Il nonno diceva sempre che bisogna vivere l’età che si ha, che un giorno lei avrebbe capito cosa voleva dire vedersi sfuggire i giorni tra le dita, ogni giorno un poco, come la sabbia in una clessidra.


Ma a nulla valevano quelle parole, la bimba si aggrondava pensando ai suoi desideri.


Allora il nonno le raccontò che c’era una volta un mago che aveva dei poteri straordinari. Egli poteva vedere il futuro di tutte le persone che incontrava, le leggeva in trasparenza. Ma, interrogato, si rifiutava di svelare quello che vedeva e si allontanava triste per quello che sapeva.


Un giorno incontrò una bimba, che voleva conoscere il suo futuro ad ogni costo e lo pregò e tanto insistette che alla fine il mago sorrise e acconsentì ad esaudirla.


Le consegnò un bellissimo gomitolo di lana rosa e le disse che rappresentava la sua vita; ogni volta che ne avesse tirato un po’ il filo, un pezzetto della sua vita sarebbe scorso e lei si sarebbe ritrovata più avanti nei mesi o negli anni. Ma le disse anche di fare attenzione, perché il gomitolo non si poteva riavvolgere, così come la vita, che una volta consumata, non le avrebbe consentito di tornare indietro.


La bimba accettò il gomitolo come un meraviglioso dono, lo portò a casa e lo nascose in un cassetto, senza dire niente a nessuno.


Ma la tentazione era troppo forte, continuava a pensare al gomitolo nel cassetto e, senza tener conto degli avvertimenti del mago, cominciò pian piano a tirare il filo.


E si vide, come voleva, liceale, alle soglie della maturità, assieme ai compagni che presto si sarebbero dispersi, ciascuno per la sua strada.


E vide il suo primo ragazzo di un’estate e i falò sulla spiaggia e i canti e il suono dell’armonica, un po’ triste, che accompagnava.


E conobbe il suo amico di sempre, anche lui iscritto a Scienze Biologiche, di qualche anno più grande.


E si vide il giorno del matrimonio, splendente nel suo abito bianco di pizzo, con il mazzolino di fiori d’arancio tra le mani e gli occhi pieni di luce mentre guardava il suo uomo.


E si vide il giorno della Laurea, abbracciata a suo marito, i genitori felici e il pranzo di festa in un ristorante sul Lago e quel giorno a lei sembrava di avere tutto il mondo tra le mani, con la vista del panorama che si stendeva ai suoi piedi.


E poi l’attesa, la nascita del figlio, la morte dei genitori. Prima la madre, che in una strana alternanza, moriva pochi mesi dopo la nascita del bimbo. E poi due anni dopo il padre, mai rassegnato alla perdita, che neanche il nipotino era riuscito a trattenere in vita.


E ancora, un altro strattone al filo del gomitolo.


Ed ecco la donna alla ricerca di un lavoro, che la portava in giro per l’Italia a cercare di realizzare i suoi sogni e poi il ritorno a casa, l’approdo ad un lavoro che aveva desiderato e che le piaceva.


E poi le disillusioni: lo sguardo del suo compagno che la attraversava guardandola come se non esistesse, la cognizione che si era spenta quella luce che la illuminava.


E poi la morte dell’amico, la lunga agonia durata mesi, i dialoghi di quei pomeriggi in ospedale sulla paura della morte e quello che c’è dopo di essa. E la vita che non aveva vissuto, i desideri mai realizzati, i viaggi che non aveva fatto.


E il funerale, in quel giorno di maggio, pieno di un caldo sole beffardo e vuoto per sempre di quella presenza amica.


E poi il bimbo che cresceva, diventava uomo e, anche lui laureato, trovava lavoro in qualche parte sperduta del mondo.


E poi si sposava e nascevano i figli e la bimba, diventata ormai vecchia, ripercorreva nei ricordi la sua vita ormai quasi trascorsa.



Aveva ragione il mago e avevi ragione anche tu, nonno.


Non voglio più conoscere il futuro, sapere cosa mi accadrà.


Riprenditi il gomitolo, mago, questo gioco non mi piace più.

5 commenti:

  1. Guardala da un altro punto di vista:

    l'invito al Carpe diem ...
    pigliate 'o bbuono quanno vene (ca 'o malamente sta' sempre astipato)

    prendi le cose buone quanto ti capitano, che quelle cattive stanno la' che ti aspettano

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  2. Ma a te il gioco non è piaciuto più...

    W.

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  3. vulesse vere' a ttè !
    tu continuavi a tirare?
    :-)

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