Nisida

Nisida

domenica 26 febbraio 2006

LA MIA WOODSTOCK


Anni fa, anni 80, avemmo l’occasione di andare in Canada, a Montreal.
Ci prenotarono il volo per il 17 giugno e noi che eravamo giovani e tenevamo altro a che penzà neanche ci facemmo caso. Lo notammo pero’ sull’aereo, un Boeing da 400 posti semivuoto.
Passammo tutto il tempo del viaggio a spostarci da una poltrona all’altra, a sdraiarci su piu’ poltrone e sbevazzando e mangiucchiando di tutto. Realizzammo quanto eravamo stati fortunati al ritorno, su in Jumbo pieno come un uovo, con neonati frignanti a tempo pieno.
Andando oltreoceano, partendo di giorno, il fuso orario regala una giornata interminabile e giunti a Montreal e sbarcati i bagagli in albergo, cominciammo subito a girare per la città, arrivando persino a scalare il Mont Royal da cui la città prende il nome. Andammo a dormire a mezzanotte ora locale, ma mi svegliai alle 5 del mattino sempre ora locale con una madonna di fame e la colazione che mi servirono alle 7 fu poco piu’ che uno stuzzichino.
Ma parlerò di Montreal un’altra volta, ora volevo raccontare del viaggio che facemmo a Quebec, che dista 200 km da Montreal in uno di quei pulman tutti di acciaio con il levriero disegnato, i Greyhounds.
Era il 24 giugno, San Giovanni. La città costruita con edifici e castelli in stile francese, sulla riva del San Lorenzo, ci accolse con un caldo appiccicoso.
La festa di san Giovanni è molto sentita nel Quebec e per l’occasione avevano organizzato un concerto che durava tre giorni, sullo stile di Woodstock.




C’erano dei prati enormi alle spalle del castello, gente seminuda con frigo portatili al seguito, con cibarie e bevande in quantità industriali, ragazzi hippie truccati e tatuati. Vino, birra e canne circolavano senza problemi e un posto di soccorso attrezzato era lì in attesa.



Decine di gruppi si avvicendavano sul palco, con torri di amplificatori che sparavano decibel addosso ai partecipanti all’happening. Sembrava di fare un salto all’indietro ed io sognavo di sentire Janis Joplin, Hendrix, Santana, The Who, Joe Cocker, i Jefferson Airplane e Alvin Lee dei Ten Years After.



La sera tardi, tornando in albergo (ma la musica continuava) nelle stradine strette che rassomigliavano a Montmartre con i nomi francesi sulle tabelle stradali, ci sembrò di sentire una musica che si avvicinava. E dopo un po’ spuntarono dai vicoli una folla di persone che suonavano e cantavano e correndo si tenevano per mano in una lunga catena. Giunti alla nostra altezza ci afferrarono le mani e ci inglobarono nella catena, in un girotondo interminabile. Ci fermammo alla fine senza fiato in tutt’altro posto della città, sperduti, increduli e confusi, mentre il resto della catena si allontanava com’era venuta. Sembrava un sogno. Per fortuna la città di Quebec non è molto grande e il fiume aiuta ad orientarsi, così ritrovammo facilmente la via di casa.
Ancora oggi ricordando quella sera non sono sicura di non averla sognata.


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